Molte persone si vergognano di piangere e cercano di evitarlo il più possibile. Questo è particolarmente vero per gli uomini, probabilmente perché nella nostra società è molto diffusa l’idea che l’uomo debba mostrarsi sempre forte e sicuro di sé, mentre il pianto è spesso considerato un sintomo di debolezza.
In realtà, però, il pianto non è altro che la manifestazione di un’emozione particolarmente intensa. Solitamente si tratta di tristezza, ma a volte si può piangere anche se ci si sente profondamente arrabbiati o frustrati.
A che serve piangere?
Il pianto ha delle funzioni molto importanti.
Innanzitutto, ha un effetto catartico, cioè consente di eliminare o ridurre delle tensioni che si presentano a seguito di un vissuto emotivo molto forte. In questo modo è possibile recuperare uno stato d’animo positivo o comunque migliore. Non sempre questo sollievo è immediato. Può capitare che subito dopo aver pianto la persona si senta ancora più triste rispetto a prima, ma di solito dopo un po’ di tempo si sente meglio.
La riduzione delle emozioni negative che si manifesta dopo aver pianto, oltre a produrre di per sé un miglioramento del proprio benessere, può contribuire anche ad aiutare la persona ad osservare la situazione percepita come problematica da prospettive diverse. In questo modo è possibile che riesca a focalizzarsi anche su elementi positivi che prima non aveva preso in considerazione oppure che individui la soluzione al problema o comunque la messa a punto di strategie di azione diverse, che potrebbero essere più funzionali e che, pertanto, potrebbe decidere di tentare.
Il pianto, potenzialmente, ha anche una funzione sociale, legata al comunicare il proprio bisogno di sostegno e al ricercare la vicinanza ed il supporto degli altri. Tipicamente, infatti, chi vede una persona che piange si interessa a lei, domanda cosa è successo, utilizza parole di conforto e, se possibile, offre il suo aiuto.
Insomma, in alcune situazioni piangere non solo è una reazione perfettamente normale della quale non bisogna vergognarsi, ma è anche una cosa potenzialmente molto utile.
Quand’è che il pianto diventa problematico?
Quando non è espressione di un momento di tristezza passeggero, ma di uno stato di malessere serio e strutturato che compromette il benessere complessivo della persona, come può essere, ad esempio, nel caso della depressione.
Il pianto, inoltre, diventa problematico anche quando è accompagnato da atteggiamenti e comportamenti eccessivamente passivi e rinunciatari che non permettono alla persona di focalizzarsi sul superamento delle difficoltà che ha incontrato.
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Bibliografia
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