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Erica Tinelli

Psicologa a Roma, Viterbo e Online

COME GESTIRE IL RAPPORTO CON I FIGLI IN CASO DI SEPARAZIONE?

La separazione può rappresentare un evento stressante sia per i genitori, sia per i figli. Per questo motivo è importante imparare a gestirla al meglio per evitare di esasperare le difficoltà.

Come comunicare la decisione della separazione?

La comunicazione deve essere chiara, semplice e formulata in modo tale da risultare adatta all’età dei figli.

È opportuno evitare di colpevolizzarsi a vicenda ed esplicitare ai figli che non hanno alcuna responsabilità in quello che è successo.

In alcuni casi, ad esempio con i bambini più piccoli, può essere utile chiarire che anche a seguito della separazione il figlio continuerà ad avere un rapporto solido e continuativo con entrambi i genitori, anche se con modalità in parte differenti.

E’ necessariamente un trauma?

Sicuramente la separazione è un evento che può essere difficile da accettare e da gestire, soprattutto nelle fasi iniziali. Non necessariamente, però, è un trauma. Non è detto che provocherà un grande malessere e dei problemi ai figli. L’evoluzione della separazione dipende molto da come questa viene gestita. Dopo un periodo iniziale di confusione e di difficoltà, bambini e ragazzi possono recuperare il loro equilibrio ed adattarsi alla nuova situazione.

È bene considerare, inoltre, che alcune coppie che evitano o che rimandano la separazione per il bene dei figli tendono a litigare spesso ed il conflitto può essere molto più problematico di una separazione ben gestita.

Come evitare che la separazione causi problemi ai figli?

È importante che i genitori dedichino il giusto tempo e le giuste attenzioni ai figli per non farli sentire abbandonati e colpevoli di qualcosa. Questo non vuol dire assecondare tutte le loro richieste ed accettare comportamenti inopportuni, ma creare dei momenti per stare insieme e per condividere la quotidianità.

I figli devono sentire di poter parlare liberamente delle loro preoccupazioni e delle loro paure senza essere trattati in modo sbrigativo e senza il timore di poter provocare malessere o fastidio al genitore. Questo implica che per poter aiutare i figli i genitori devono lavorare su stessi ed elaborare adeguatamente la separazione. In caso contrario, infatti, non verranno percepiti come dei punti di riferimento ai quali rivolgersi in caso di bisogno…come si può chiedere aiuto ad un genitore che non sa badare neanche a se stesso?

Dott.ssa Erica Tinelli

3884462095

erica.tinelli@hotmail.it

INSEGNARE LA PERSEVERANZA CON L’ESEMPIO

“Pazienza e perseveranza sono qualità essenziali per il successo e

la realizzazione finale, per ogni cosa per cui

valga la pensa di sforzarsi”      J. Pilates

Perchè è importante la perseveranza?

La perseveranza, cioè la capacità di essere costanti nello svolgimento di un’attività e di non arrendersi davanti alle difficoltà, è indispensabile per avere successo. Qualsiasi obiettivo importante, infatti, può essere raggiunto con l’impegno, il duro lavoro, l’allenamento costante, la determinazione.

Anche in presenza di un’importante predisposizione verso una determinata attività, se questa non viene coltivata adeguatamente, difficilmente si riuscirà a raggiungere l’eccellenza.

Sviluppare la perseveranza

È fondamentale, quindi, imparare ad essere perseveranti.

La perseveranza, infatti, non è una dote innata, ma una qualità che può essere appresa e che può essere insegnata fin dall’infanzia. E si sa che molto spesso il modo migliore per insegnare una cosa ad un bambino non è tanto quello di spiegargli a parole cosa deve fare e come deve comportarsi, ma proporsi come un modello di riferimento da osservare e da imitare.

Così, il modo migliore per insegnare la perseveranza è mostrarsi ai bambini come un esempio di perseveranza.

La ricerca sul tema

Una recente ricerca condotta da Leonard, Lee, Schultz (vedi bibliografia) ha dimostrato che i bambini che avevano osservato un adulto fare vari tentativi prima di arrivare a raggiungere degli obiettivi (estrarre un giocattolo da una scatola e delle chiavi da un moschettone), successivamente erano più inclini ad impegnarsi di più per portare a termine un compito assegnato (azionare un giocattolo sonoro). Avevano imparato, infatti, che per riuscire nei propri intenti è fondamentale essere costanti perché possono essere necessarie varie prove per ottenere ciò che si vuole.

Questa ricerca offre degli spunti di riflessione molto interessanti.

L’età

Innanzitutto, è da sottolineare che i bambini coinvolti nella ricerca erano molto piccoli. Infatti, avevano un’età compresa tra i 13 ed i 18 mesi. La perseveranza, quindi, può essere appresa molto presto. Considerata la sua importanza, è auspicabile che venga insegnata già dalle prime fasi di vita, ovviamente con modalità congruenti all’età del bambino.

Interagire direttamente

Un altro elemento da considerare, confermato anche da altri studi, riguarda l’importanza di sviluppare con i bambini un’interazione diretta. Quando gli adulti pronunciavano i nomi dei bambini, stabilivano con loro un contatto visivo e parlavano con loro di tutti i tentativi che stavano facendo, i bambini imparavano maggiormente l’arte della perseveranza e in seguito si impegnavano di più.

Generalizzare

Infine, è importante sottolineare che adulti e bambini si erano cimentati in compiti diversi. Sembrerebbe, quindi, che da parte dei bambini si sia verificato un apprendimento generalizzato a vari ambiti e non circoscritto alla specificità della situazione osservata.

Dott.ssa Erica Tinelli

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erica.tinelli@hotmail.it

Bibliografia

Leonard J. A., Lee Y., Schulz. L. E. (2017). Infants make more attempts to achieve a goal when they see adults persist. Science, 357 (6357).

COMPETENZE GENITORIALI E FATTORI DI RISCHIO

Conoscere i fattori di rischio per lo sviluppo di adeguate competenze genitoriali può essere utile perchè permette di intervenire per evitare di creare problemi al benessere dei propri figli.

Quello del genitore, infatti, è un ruolo molto complesso perchè è carico di responsabilità. Infatti, con il suo comportamento e con il suo stile di vita, il genitore influenza notevolmente lo sviluppo del figlio.

Fattori di rischio distali

Si tratta di variabili che hanno un’influenza indiretta sullo sviluppo delle competenze genitoriali, ma possono avere comunque un impatto, anche perché possono contribuire allo sviluppo dei fattori di rischio prossimali.

Tra i fattori di rischio distali ci sono il basso livello di istruzione e la povertà cronica che, a loro volta, sono interconnesse e che impattano negativamente sulla salute individuale e familiare.

Molto importante è anche l’inadeguatezza dell’integrazione sociale, l’assenza di un partner e la carenza di relazioni interpersonali. In queste situazioni, infatti, il genitore non può contare sull’aiuto materiale ed emotivo che deriva da altre persone.

Anche la presenza di esperienze infantili di rifiuto, di violenza e di abusi può rappresentare un fattore di rischio distale, tranne nei casi in cui vi è stata l’elaborazione di questi eventi.

Fattori di rischio prossimali

Hanno una grande influenza sullo sviluppo delle competenze genitoriali. I fattori di rischio prossimali possono essere:

  • Individuali. In questa categoria rientra la presenza di varie forme di psicopatologia, la devianza sociale, l’abuso di sostanze, il non sapersi assumere delle responsabilità, l’impulsività, la scarsa tolleranza delle frustrazioni. Sono tutti elementi che evidenziano l’incapacità della persona di prendersi cura di sé e che, quindi, possono essere connesse all’incapacità di prendersi cura degli altri, figli inclusi. Un altro fattore di rischio individuale è l’inadeguatezza delle competenze empatiche che ostacola la capacità di comprensione e gestione dei bisogni altrui.
  • Familiari e sociali. Riguardano sia i rapporti con la famiglia d’origine –presenza di conflitti o relazioni difficili- sia il rapporto con il partner –ad esempio la presenza di conflitti o la violenza domestica-.

La presenza di fattori di rischio è una condanna che impedisce lo sviluppo di adeguate competenze genitoriali?

Assolutamente no! La presenza dei fattori di rischio –anche numerosi e importanti- non significa che si è condannati ad essere dei cattivi genitori, anche se ovviamente può rendere più difficile rivestire questo ruolo.

Quasi tutti i fattori di rischio possono essere superati quando la persona è disponibile ad impegnarsi. Basti pensare che tra i principali fattori di protezione c’è proprio il desiderio di migliorarsi.

Dott.ssa Erica Tinelli

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erica.tinelli@hotmail.it

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Per approfondire

Di Blasio P. (a cura di) (2005). Tra rischio e protezione. La valutazione delle competenze parentali. Edizioni Unicopli, Milano.

IL MUTISMO SELETTIVO

Che cos’è il mutismo selettivo?

Si tratta di un problema che si può manifestare nei bambini e si caratterizza per l’incapacità a parlare in determinati contesti e situazioni specifiche. Il bambino, però, è in grado di parlare in altri ambiti. Può capitare, ad esempio, che un bambino con un problema di mutismo selettivo non parli a scuola, ma parli normalmente a casa oppure viceversa.

I bambini con mutismo selettivo solitamente hanno abilità linguistiche perfettamente normali, mentre invece, spesso, presentano elevati livelli di ansia, di timidezza e tendono ad isolarsi.

Il ruolo dei genitori

Dal momento che il mutismo selettivo si manifesta nell’infanzia, è molto importante analizzare il modo in cui i genitori cercano di gestire il problema. Molto spesso cercano di spronare il proprio figlio a parlare, ad esprimere eventuali disagi e a raccontare loro eventuali difficoltà incontrare. Altre volte, invece, pensano che il problema sia causato da una carenza affettiva e per questo concedono molte più attenzioni al bambino, ad esempio comprando più giochi, essendo molto presenti, rispondendo positivamente a qualsiasi richiesta e desiderio, anche solo presunto.

Questi comportamenti, però, di solito non sono risolutivi, anzi rappresentano per il bambino dei vantaggi che cercherà, anche inconsapevolmente, di mantenere continuando a perpetuare il comportamento problematico.

L’intervento strategico nei casi di mutismo selettivo

In terapia breve strategica quando si devono risolvere problemi infantili in genere si ricorre alla terapia indiretta. Questo vuol dire che non si svolgono dei colloqui con il bambino, ma con i genitori che vengono guidati, con modalità calzate alla specificità del caso e delle persone coinvolte, ad interrompere i comportamenti disfunzionali. Contemporaneamente, vengono fornite delle indicazioni più efficaci per affrontare il problema e per gestire il rapporto con il figlio.

Il mutismo selettivo è un problema che può destare grande preoccupazione e può diventare estremamente invalidante, ma può essere risolto anche piuttosto rapidamente con le giuste strategie.

Dott.ssa Erica Tinelli

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Bibliografia

Biondi M. (a cura di) (2014). DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali.  Raffaello Cortina Editore, Milano.

Nardone G. e Portelli C. (2015). Cambiare per conoscere. Lo sviluppo della psicoterapia strategica breve. Tea, Milano.

ECCO PERCHE’ NON DEVI DIRE A TUO FIGLIO “DEVE PIACERTI”

“Deve piacerti quello sport. È così utile”

“Ho spiegato a mia figlia che deve amare lo studio perché le permette di capire il mondo, di risolvere i problemi e di essere autonoma”

“I miei figli devono andare a trovare i nonni con piacere perché gli vogliono bene”

“Gli/Le devono piacere le verdure”

Sono soltanto alcuni esempi di frasi pronunciate o di pensieri fatti dai genitori in riferimento ai propri figli. Al di là dello specifico ambito di riferimento (il rapporto con lo studio, con i nonni, con l’alimentazione, con lo sport), tutte queste espressioni hanno in comune il comunicare qualcosa che riguarda un aspetto essenziale, ossia il rapporto che la persona ha con il piacere.

Il piacere

È un’emozione primaria di fondamentale importanza e, pertanto, deve essere adeguatamente riconosciuta e gestita.

Senza il piacere la nostra vita sarebbe noiosa, piatta, frustrante, fatta solo di doveri. Probabilmente sarebbe indegna di essere vissuta. Per questo è auspicabile che ognuno di noi sia capace di sperimentare e gestire il piacere in vari ambiti, ma tutto questo deve essere fatto in modo efficace. Il piacere, infatti, è una sensazione che si sviluppa spontaneamente e non per autoimposizione o in virtù di un’imposizione imposta da altri.

Perché è dannoso dire a tuo figlio “deve piacerti”?

Ogni volta che si dice al proprio figlio “deve piacerti” ci si comporta in modo tale da volerlo indurre a sperimentare volontariamente una sensazione che, invece, non può che essere spontanea. Si tratta di un paradosso irrisolvibile e che rischia anche di creare disagio e malessere. Se un bambino o un ragazzo si sente dire che deve amare determinate cose può considerare quella prospettata dal genitore come una cosa normale e giusta. Se non riesce, ad esempio, a studiare con piacere potrebbe sentirsi anormale, frustrato, in colpa e tutto questo può avere conseguenze potenzialmente negative sul benessere individuale e sul rapporto con il genitore.

Un bambino o un ragazzo può accettare di studiare, di fare sport, di andare dai nonni -e così via- anche se non ne ha voglia; è solo necessario proporre tutto questo con le dovute modalità, con la giusta comunicazione, con adeguate strategie. È su questo che bisognerebbe puntare quando si vuole aiutare il proprio figlio a fare ciò che si ritiene giusto per lui.

È necessario evitare, invece, di intervenire direttamente sulle sensazioni spontanee: queste non possono essere controllate e più si cerca di controllarle, più si rischia di inibirle ancora di più.

Dott.ssa Erica Tinelli

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erica.tinelli@hotmail.it

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