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Erica Tinelli

Psicologa a Roma, Viterbo e Online

NON TI SENTI REALIZZATO NEL LAVORO MA HAI UNA BELLA FAMIGLIA?

Ho conosciuto tante persone che non si sentivano realizzate sul lavoro, ma che avevano una bella famiglia.

Perché metto in connessione queste due cose? Perché quello che ho osservato con molte persone con le quali ho lavorato è che si può avere la tendenza, più o meno consapevole, a cercare di farsi bastare la bella famiglia accontentandosi della mediocrità in ambito lavorativo. Questo, però, di solito è un tentativo inefficace ed anche dannoso, quindi, …

…evita di farti bastare la bella famiglia

Si tratta di due ambiti diversi. Se sei insoddisfatto a lavoro e vivi male questa cosa vuol dire che per te quello è un ambito di realizzazione fondamentale che non potrà essere compensato in nessun altro modo. Non sarai mai completamente felice fino a quando non avrai ottenuto quello che desideri a lavoro, anche se hai la famiglia migliore del mondo.

Non c’è niente di ragionevole nel sentirsi in colpa se la bella famiglia non basta. Se sei una persona ambiziosa a lavoro, lo stato di insoddisfazione è normalissimo. Non significa che sotto sotto pensi che la tua famiglia non è abbastanza. Non significa che vuoi troppo dalla vita. Vuoi solo ciò che ritieni giusto.

Dedicarti alla realizzazione lavorativa toglie qualcosa alle relazioni?

Questa è una delle paure più frequenti che hanno le persone alle quali la bella famiglia non basta.

Può non essere semplice dedicare tempo ed energie adeguate sia alla famiglia che al lavoro, ma è fattibile. Infatti lo fanno tantissime persone ogni giorno, incluse quelle che partecipano al mio percorso “prenditi quello che meriti”.

Inoltre, devi considerare che anche quando ti concentri sul lavoro in un certo senso stai facendo qualcosa di positivo per la tua famiglia e non solo per una questione economica. Infatti, se sei una persona ambiziosa e trascuri la tua realizzazione lavorativa, non solo rischi di non essere mai felice e soddisfatto, ma anche di arrivare a rovinare la tua bella famiglia. Il benessere del/la partner e dei tuoi figli, così come la qualità delle vostre relazioni, dipende anche come stai tu. Se sei insoddisfatto a lavoro rischi, inconsapevolmente, di contagiare gli altri con il tuo malessere, di creare malintesi e conflitti, di rovinare la tua famiglia.

Qual è, quindi, la più piccola cosa che potresti fare ogni giorno per evitare che questo accada e realizzarti professionalmente?

Dott.ssa Erica Tinelli

erica.tinelli@hotmail.it

3884462095

GESTIRE I PENSIERI NEGATIVI

Molte persone non vorrebbero avere pensieri negativi.

Il vero problema, però, non sono i pensieri negativi in quanto tali, ma il modo in cui vengono gestiti.

Quali sono i primi passi da fare per iniziare a gestire al meglio i pensieri negativi? Ecco due delle strategie che uso più spesso con le persone che partecipano al mio percorso “prenditi quello che meriti”.

Smetti di provare a sopprimerli

Molto spesso le persone cercano di allontanare i pensieri negativi. Cercano di non pensarci. Questa strategia solitamente non funziona. Anzi, rischia di amplificare ancora di più il problema.

Smettere di provare a scacciare i pensieri negativi di per sé alle volte può essere sufficiente a superare la situazione di malessere e di disagio.

Nel concreto questo vuol dire che quando arrivano i pensieri negativi bisogna continuare a fare quello che si sta facendo, ma senza cadere nella trappola di combatterli provando ad allontanarli o a trasformarli in pensieri positivi. È come vivere con un rumore di sottofondo che può essere fastidioso ma che spesso con il tempo si affievolisce sempre di più fino a scomparire. È una strategia che può portare a vincere senza combattere.

Per potere essere efficace, però, questa strategia deve essere mantenuta con una certa costanza, soprattutto quando è stata preceduta dal tentativo massiccio di allontanare i pensieri.

Scrivere i pensieri negativi

E’ utile perché la scrittura permette una forma di elaborazione che porta a distanziarci emotivamente dalle nostre preoccupazioni. Ciò vuol dire che impariamo a vederle come più piccole, più circoscritte, impariamo a sgonfiarle e a guardare le cose da prospettive diverse e meno catastrofiche. A livello emotivo, questo si può tradurre in una drastica riduzione o nell’eliminazione dell’angoscia e dell’ansia.

Per poter trarre dei benefici è importante scrivere in modo dettagliato, sincero, senza alcun tipo di freno e di inibizione, dando sfogo alla nostra parte più angosciata ed ansiosa, anche quando dice cose che sembrano assurde alla nostra parte più razionale.

È preferibile, inoltre, scrivere su carta invece che sul computer oppure sul telefono.

Anche questa strategia può richiedere una certa costanza: scrivere una sola volta o poche volte potrebbe non essere sufficiente.

Esistono, poi, anche altre strategie che dipendono dallo specifico caso e che devo essere calzate alla persona. A volte è necessaria una sola strategia che deve essere mantenuta costante. Altre volte quella strategia deve essere modificata nel tempo. In altri casi, ancora, è necessario combinare più strategie diverse.

Puoi fare vari tentativi oppure puoi decidere di rivolgerti direttamente ad un professionista per essere guidato da lui.

Dott.ssa Erica Tinelli

erica.tinelli@hotmail.it

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VORRESTI ELIMINARE I PENSIERI NEGATIVI?

Perché eliminare i pensieri negativi?

Molte persone che lavorano con me mi parlano del fatto di voler eliminare i pensieri negativi. Se stai leggendo questo articolo forse anche tu hai questo obiettivo.

Te lo dico subito: la soluzione non è eliminarli perché il vero problema non sono i pensieri negativi in quanto tali, ma il modo in cui tu li vivi e li gestisci. Non c’è niente di strano o di problematico nel pensare, per esempio, che una determinata occasione lavorativa potrebbe sfumare, che potremmo avere dei problemi lavorativi, di salute, relazionali.

Avere certi pensieri è normale, a volte può anche essere utile.

Quand’è, allora, che i pensieri negativi diventano problematici?

Quando ostacolano la nostra e serenità ed il nostro benessere. Questo tipicamente avviene quando:

-sono molto frequenti e portano a rimuginare, non lasciando, spesso, spazio ad altri pensieri o attività

-vengono vissuti con angoscia, ansia, preoccupazione che sono eccessive

-bloccano, a livello cognitivo e/o comportamentale. Per esempio, c’è chi a causa dei non riesce a riflettere lucidamente, a fare delle scelte, a studiare, a lavorare, a fare sport, a godersi la vita, a dedicare tempo ed attenzioni alla famiglia o agli amici. Nei casi estremi, c’è anche chi, a causa dei pensieri negativi, fa fatica ad alzarsi dal letto o a fare le cose quotidiane di base.

Facciamo un esempio

Per quella che è la mia esperienza professionale, tra i pensieri negativi più diffusi c’è quello che qualcosa andrà male. Per andare più nello specifico pensiamo ad una persona che pensa che un’opportunità lavorativa (come un colloquio di lavoro, un concorso, la richiesta di una promozione, un progetto lanciato sul mercato o una proposta fatta ai collaboratori o ai capi) potrebbe andare male. Questo pensiero diventa problematico solo se porta la persona a sperimentare ansia, angoscia o altre emozioni negative intense, se diventa un pensiero fisso e ossessivo, se porta la persona ad essere focalizzata solo su quello e se la porta a rinunciare a prescindere all’opportunità partendo dal presupposto che tanto andrà male.

Quindi evita di concentrarti sul tentativo di eliminare i pensieri negativi. Focalizzati, piuttosto sul come fare per gestirli al meglio. Puoi iniziare partendo da qui GESTIRE I PENSIERI NEGATIVI

Dott.ssa Erica Tinelli

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erica.tinelli@hotmail.it

PERCHE’ E’ IMPORTANTE PENSARE ALLA MORTE?

Nella nostra società, spesso, l’invecchiamento e la morte sono considerati dei tabù dei quali non si deve parlare e che occorre allontanare quanto più possibile dalla consapevolezza. Questo atteggiamento di occultamento di qualcosa che, di fatto, è naturale, però, ha degli svantaggi. Pensare alla morte, infatti, può essere molto utile perché ci aiuta ad averne meno paura, a vivere meglio, a riconoscere e a perseguire le nostre priorità.

Avere meno paura

Le cose che ci spaventano e che, in virtù della nostra paura, cerchiamo di allontanare dai nostri pensieri spesso finiscono per spaventarci ancora di più. Il tentativo di non pensare a certe cose, infatti, non ci permette di confrontarci con esse, di elaborare ansie e preoccupazioni, di conoscerle meglio e di renderle familiari.

Se si cerca di non pensare, inoltre, può anche succedere di rendere i pensieri che vorremmo evitare ancora più opprimenti e fastidiosi, soprattutto in momenti particolari nei quali si è costretti a confrontarsi con notizie che hanno a che fare con la morte.

Pensare alla morte per vivere meglio

Pensare alla morte permette di vivere meglio, imparando a godere di ogni singolo giorno e a ricercare sempre il meglio da esso. Questo implica anche il saper prestare attenzione alle piccole cose, quelle apparentemente più stupide e che, in genere, vengono date per scontate.

La consapevolezza della morte consente anche di evitare i rimpianti, che rappresentano un grande fattore di malessere perché portano le persone a rendersi conto di aver tralasciato occasioni importanti che non potranno più recuperare. Uno dei rimpianti più diffusi nelle persone in fin di vita riguarda il non aver investito a sufficienza sulle relazioni sociali.

Riconoscere le proprie priorità

Se si tiene ben presente che il nostro tempo è limitato, si possono usare le proprie energie e risorse per le cose considerate più importanti, tralasciandone altre. Ad esempio, Steve Jobs era solito chiedersi quotidianamente: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. Se rispondeva di no per molti giorni di seguito rifletteva su quello che avrebbe dovuto cambiare per essere più soddisfatto. Il pensiero della morte, quindi, può essere una bussola di orientamento nella vita.

Dott.ssa Erica Tinelli

erica.tinelli@hotmail.it

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Per approfondire

Bormolini G. (2020). Ricordati che devi morire. Prepararsi alla propria morte. Edizioni messaggero, Padova.

PERCHE’ SI SOFFRE DI ATTACCHI DI PANICO ?

Perché alcune persone soffrono di attacchi di panico?

Il panico è l’estremizzazione della paura.

La paura in alcune circostanze è perfettamente normale ed anche utile perché prepara l’organismo e la mente ad affrontare al meglio situazioni potenzialmente minacciose o comunque critiche. Quando, però, supera una certa soglia diventa disfunzionale ed incontrollabile, sfociando nel panico.

Chi soffre di attacchi di panico, quindi, presenta questo problema perché non ha imparato le giuste strategie per gestire al meglio la paura e ha continuato a mettere in atto dei comportamenti inadeguati che, con il passare del tempo, sono diventati sempre più strutturati, rigidi e, quindi, disfunzionali e tali da aggravare sempre di più la situazione.

I comportamenti disfunzionali più diffusi

Ad esempio una delle strategie inadeguate più frequentemente utilizzate per gestire la paura e l’ansia che da essa deriva è il tentativo di controllare le proprie reazioni psicofisiologiche, come ad esempio il battito cardiaco, la respirazione, l’equilibrio, la lucidità mentale. Quando si prova paura è normale che si sperimentino sintomi di questo tipo che hanno una durata estremamente limitata. Se, però, la persona si spaventa quando si trova a dover avere a che fare con queste sensazioni e cerca in tutti i modi di controllarle, finisce per alterarle ed incrementarle sempre di più, fino ad arrivare all’escalation del panico. Dei parametri del tutto naturali e destinati a scomparire spontaneamente, quindi, vengono, invece, amplificati.

Esistono, poi, anche altri comportamenti che, se ripetuti nel tempo, possono contribuire allo sviluppo di un disturbo da attacchi di panico, come ad esempio l’evitare costantemente ciò che si teme –che fa percepire le situazioni evitate come sempre più difficili da gestire e rende la persona sempre più insicura e incapace- ed il parlare sempre di ciò che mette ansia –incrementandola sempre di più-.

Il disturbo da attacchi di panico, quindi, si può venire a strutturare in virtù del fatto che alcune difficoltà quotidiane legate alla paura e all’ansia non vengono affrontate in modo adeguato.

Chiunque sperimenta queste difficoltà -seppure con frequenza e modalità differenti. Quello che cambia è la reazione delle persone a queste difficoltà, che possono essere più o meno funzionali.

Come uscirne?

E’ possibile superare rapidamente gli attacchi di panico attraverso la psicoterapia. In particolare la terapia breve strategica presenta un tasso di efficacia del 95% con una durata media del trattamento di 7 sedute.

Nel percorso il professionista guida la persona ad interrompere le tentate soluzioni disfunzionali e fornisce indicazioni concrete ed efficaci per gestire la paura.

Dott.ssa Erica Tinelli

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erica.tinelli@hotmail.it

Se ti è piaciuto questo articolo potrebbe interessarti anche:

SUPERARE GLI ATTACCHI DI PANICO CON LA TERAPIA BREVE STRATEGICA

Per approfondire

Nardone G. (2000). Oltre i limiti della paura. Superare rapidamente le fobie, le ossessioni e il panico. BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano.

Nardone G. (2005). Non c’è notte che non veda il giorno. Tea, Milano.

Nardone G. (2016). La terapia degli attacchi di panico. Ponte alle Grazie, Milano.

LE TENTATE SOLUZIONI RELAZIONALI NEL DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO

Il coinvolgimento dei familiari di chi soffre di un disturbo ossessivo-compulsivo

Il disturbo ossessivo-compulsivo può essere estremamente invalidante e, molto spesso, coinvolge anche i familiari di chi presenta questo problema. Genitori, figli e partner, infatti, solitamente cercano di aiutare la persona a superare il disturbo oppure a gestirlo al meglio.

Senza la guida di un terapeuta, però, spesso accade che con le migliori intenzioni si producono gli effetti peggiori. Il tentativo di aiutare può essere non solo inutile, ma addirittura dannoso perchè può contribuire al mantenimento ed al peggioramento del problema.

Le tentate soluzioni relazionali principali sono: rassicurare, cercare di convincere la persona ad interrompere le compulsioni, aiutare ad eseguire le compulsioni rituali.

Rassicurare

I familiari spesso cercano di rassicurare la persona sofferente del fatto che non succederà nulla di brutto e coerente con le ossessioni. Non accadrà nessun incidente, non si verificherà alcuna contaminazione, non ci saranno raptus che porteranno a fare cose terribili…e così via. Anche se questo, da certi punti di vista, può apparire ragionevole, implicitamente conferma alla persona che ci sono dei pericoli; altrimenti non avrebbe bisogno di rassicurazioni.

A volte i tentativi di rassicurazione non riguardano solo le ossessioni, ma anche l’aver eseguito bene le compulsioni (come i lavaggi o i controlli). In questi casi implicitamente viene inviato il messaggio per il quale l’esecuzione delle compulsioni è necessaria, altrimenti per quale motivo sarebbe importante sottolineare che è stata fatta bene?

Cercare di convincere la persona ad interrompere le compulsioni

“Non lavarti così tante volte, non ha senso”, “smetti di controllare più e più volte, una è sufficiente”, “non ripetere quelle azioni, è la tua malattia che ti porta a farle”, “smettila, diventerai pazzo e ci farai impazzire” sono solo alcune delle frasi che i familiari di chi soffre di un disturbo ossessivo-compulsivo possono pronunciare.

Il problema, però, è che, come molti problemi psicologici, anche il disturbo ossessivo-compulsivo di solito non si supera solo grazie alla forza di volontà. Sono necessarie, infatti, delle specifiche strategie terapeutiche.

Dire ad una persona che non deve eseguire determinate compulsioni significa dirle qualcosa che non condivide oppure, come accade molto più spesso, che sa perfettamente. Chi esegue le compulsioni, in genere, sa che non dovrebbe comportarsi così, ma non riesce a fare diversamente.

Aiutare ad eseguire le compulsioni rituali

Di solito i familiari cercano di aiutare la persona ad eseguire i rituali, sperando che la persona possa sentirsi rassicurata o anche per fare le cose in fretta. In alcuni casi, infatti, le compulsioni diventano talmente invalidanti e compromettenti da richiedere molto tempo. È il caso, ad esempio, di chi aiuta la persona a controllare che tutto sia in ordine o che tutto sia pulito di aver fatto bene il rituale di lavaggio o di riordino.

Anche qui, però, implicitamente viene lanciato il messaggio che è ragionevole eseguire le compulsioni, altrimenti perché ricevere aiuto per questo?

Come intervenire sul disturbo ossessivo-compulsivo

È molto importante che i familiari di chi soffre di un disturbo ossessivo-compulsivo, così come la persona direttamente interessata, ricevano delle indicazioni da parte di un terapeuta su come gestire la situazione ed arrivare a superare il problema.

Genericamente è possibile affermare che bisogna agire per interrompere le tentate soluzioni disfunzionali. Il modo in cui questo deve essere fatto, però, va valutato in base alla specificità del caso e va monitorato nel corso del tempo.

Dott.ssa Erica Tinelli

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erica.tinelli@hotmail.it