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Erica Tinelli

Psicologa a Roma, Viterbo e Online

LA PUNIZIONE FUNZIONA?

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La punizione rappresenta un metodo educativo utilizzato da alcuni genitori in risposta ad alcuni comportamenti scorretti dei loro figli, per evitare che questi si ripresentino. Tra le punizioni più comunemente utilizzate possiamo trovare quelle che si basano sui divieti: divieto di guardare la televisione, di usare il computer, di giocare ai videogiochi, ecc…

Ma la punizione è efficace?

Può essere efficace, ma solo se si rispettano determinate condizioni.

Severità non eccessiva

Innanzitutto, contrariamente a quello che comunemente si pensa, è preferibile che la punizione non sia eccessivamente severa. La minaccia di una punizione troppo severa, infatti, può aumentare l’attrazione dei bambini e dei ragazzi nei confronti dell’attività proibita, che può essere interrotta solo temporaneamente o che può essere svolta cercando di nasconderla agli adulti. Una punizione molto severa, inoltre, potrebbe essere percepita come la manifestazione di un atteggiamento eccessivamente aggressivo, che potrebbe anche essere assunto come modello di riferimento ed imitato per quanto possibile.

Rapidità

È molto importante, invece, che la punizione venga somministrata in modo rapido, cioè senza far passare troppo tempo dal momento in cui si manifesta il comportamento che si vuole correggere.

Questi principi sono stati utilizzati anche da Olweus all’interno del sistema scolastico norvegese, nel quale si è riusciti a ridurre del 50% i comportamenti aggressivi degli studenti insegnando ai docenti a vigilare sul fenomeno e ad intraprendere provvedimenti punitivi rapidi e ragionevoli.

Coerenza

È necessario anche essere coerenti e, quindi, punire ogni volta che si manifesta il comportamento scorretto. Può capitare, invece, che determinati comportamenti non vengano punti sempre perché in alcune circostanze i genitori decidano di lasciar correre, ad esempio perché stanchi o per non rovinare il clima di serenità. Tuttavia, questa incoerenza può generare confusione e può essere d’ostacolo alla corretta educazione. Ovviamente è importante che ci sia coerenza anche tra le modalità educative dei due genitori, in modo tale che siano d’accordo tra loro in relazione alle regole da proporre ed ai correttivi da usare.

Quando premiare invece di usare la punizione?

Infine, è importante tenere in considerazione il fatto che un metodo alternativo alla punizione è il premiare i comportamenti contrapposti a quelli che si vogliono correggere. Ad esempio, piuttosto che punire il bambino quando fa i capricci, è molto più efficace premiarlo quando è tranquillo e sereno, anche attraverso semplici gesti come lodi verbali, sorrisi, carezze.

Dott.ssa Erica Tinelli

3884462095

erica.tinelli@hotmail.it

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Bibliografia

Aronson E., Carlsmith J. M. (1963). Effect of the severity of threat on the devaluation of forbidden behavior. The Journal Of Abnormal And Social Psychology, 66(6), 584-588.

Aronson E., Wilson T. D., Akert R. M. (2006). Psicologia sociale. Il Mulino, Bologna (Capitolo “L’aggressività”).

L’IPERPROTEZIONE E I SUOI PERICOLI

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Negli ultimi decenni la famiglia è cambiata molto, anche a causa di modificazioni sociali più generali. Si è passati dalla famiglia patriarcale a quella nucleare, si è innalzata l’età del momento nel quale i giovani lasciano la famiglia d’origine. Inoltre, sono diminuite le nascite e, quindi, il numero di figli per ogni nucleo. Un altro cambiamento forse meno evidente ma sicuramente molto importante riguarda il rapporto tra genitori e figli, che è sempre più basato sull’iperprotezione.

Come si manifesta l’iperprotezione?

Al giorno d’oggi i genitori cercano in tutti i modi di rendere semplice ed agiata la vita dei loro figli, proteggendoli il più possibile dalle difficoltà, dai problemi e dalle responsabilità quotidiane, assistendoli ed aiutandoli in molte attività e, a volte, sostituendosi a loro.

I genitori, spesso, fanno i compiti con i loro figli o comunque si preoccupano del fatto che qualcuno li aiuti e li controlli anche quando sarebbero in grado di fare tutto da soli, cercano di soddisfare tutte le loro richieste in merito agli acquisti che vogliono fare e alle attività che vogliono svolgere. Inoltre, fanno al loro posto cose che potrebbero fare autonomamente -come sistemare la propria camera-, sono disponibili in qualsiasi momento ad intervenire per gestire qualsiasi tipo di difficoltà, anche minima.

I comportamenti iperprotettivi dei genitori si possono manifestare sia nei confronti dei bambini, sia nei confronti dei ragazzi, degli adolescenti e anche dei giovani adulti.

Ovviamente non c’è niente di strano e di sbagliato nel voler aiutare i propri figli. La situazione, però, diventa problematica quando questo aiuto e questa protezione diventano eccessivi, generalizzati a qualsiasi situazione e non congruenti rispetto alle reali difficoltà e necessità di sostegno.

Perché l’iperprotezione può essere pericolosa?

Gestione delle difficoltà

I ragazzi che crescono in famiglie iperprotettive non hanno la possibilità di imparare ad affrontare gradualmente le difficoltà e gli ostacoli della vita e di sviluppare abilità e risorse fondamentali per il successo. Infatti, solo l’esperienza diretta di aver gestito delle criticità può consentire di potenziare i propri punti di forza e di accrescere la propria autostima. È la base per un sano sviluppo.

Secondo lo psicologo Goleman, l’iperprotezione è una forma di deprivazione che impedisce di gestire frustrazioni e tempeste emotive caratteristiche dell’infanzia e dell’adolescenza. Ciò ostacola lo sviluppo dell’intelligenza emotiva, che è fondamentale nella vita quotidiana di ogni persona (per approfondire l’argomento puoi leggere l’articolo L’NTELLIGENZA EMOTIVA).

Svalutare ciò che si ha

L’iperprotezione può anche indurre i ragazzi a ritenere che tutto quello che viene concesso loro, non solo a livello materiale, è dovuto e, quindi, viene dato per scontato. Questo può portare ad avanzare delle pretese sempre maggiori, ma anche a svalutare quello che si ha.

Non si tratta necessariamente di un atteggiamento prepotente e pretenzioso, ma può essere la conseguenza del fatto che quando tutto viene ottenuto con facilità perde gran parte del suo valore. Se tutto viene concesso tranquillamente, senza limiti e senza che venga in qualche modo guadagnato, può essere complesso capire quanto quelle cose sono preziose.

Decisioni

L’iperprotezione, infine, può rendere le persone insicure ed incapaci di prendere delle decisioni.

A volte si presentano dei veri e propri blocchi che impediscono di andare avanti o che portano a delegare ad altri la responsabilità di scelte personali, come quelle lavorative o relazionali.

I risultati della ricerca sull’iperprotezione

Lo psicologo Kagan ha effettuato degli studi che hanno evidenziato che nelle famiglie iperprotettive si manifestano più spesso disturbi psicologici di vario tipo -problemi d’ansia, ossessivi, fobici, depressivi, alimentari-. È possibile, quindi, che in questo tipo di famiglie esistano dei fattori che contribuiscano allo sviluppo di questi problemi.

Il comportamento iperprotettivo dei genitori nei confronti dei figli ed il tentativo di rimuovere qualsiasi ostacolo dalla loro strada viene attuato con le migliori intenzioni. Come la maggior parte delle cose, però,  se è estremo, rischia di diventare molto dannoso.

Dott.ssa Erica Tinelli

3884462095

erica.tinelli@hotmail.it

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Bibliografia

Goleman D. (2006). Intelligenza sociale. BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano

Nardone G., Giannotti E., Rocchi R. (2006). Modelli di famiglia. Conoscere e risolvere i problemi tra genitori e figli. Tea, Milano.

 

 

IL DIFFICILE MESTIERE DEL GENITORE

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L’importanza del ruolo del genitore

Quello del genitore è un ruolo molto difficile e carico di responsabilità.

Il comportamento dei genitori ed il loro stile educativo, infatti, possono influenzare molto il benessere dei figli e la formazione del loro carattere. È perfettamente normale, quindi, avere delle difficoltà o dei dubbi, anche in relazione ad aspetti quotidiani, come ad esempio la gestione dei capricci, del sonno, dell’alimentazione, dei problemi di studio, delle relazioni.

Inoltre, il genitore non deve gestire solo le difficoltà ed i problemi del figlio, ma anche le proprie preoccupazioni.

Le difficoltà che il genitore incontra nell’interazione con i figli lo portato spesso a porsi una domanda: “Sono un buon genitore?”, riflessione che richiama il tema della corretta educazione dei figli, ampiamente trattato in letteratura.

Come essere un buon genitore?

Lo stile autorevole

Secondo alcune ricerche lo stile educativo più efficace è quello che viene definito autorevole. Il genitore autorevole è colui che fornisce delle regole chiare, che possono anche essere discusse o negoziate. Si aspetta un comportamento maturo da parte del figlio ed interviene se non vengono rispettate delle regole o in caso di comportamenti inappropriati. Anche se il genitore controlla il figlio, come è naturale che sia in determinate fasi dello sviluppo, crea anche un rapporto molto affettuoso e comunicativo, spiegando le motivazioni che sono alla base delle sue richieste e dando al figlio la possibilità di esprimere il suo punto di vista.

Lo stile autorevole promuove lo sviluppo della capacità di autoregolazione e porta il bambino e, successivamente, il ragazzo, ad avere fiducia in sè e nelle sue abilità, oltre che ad essere responsabile.

Molto spesso, però, i genitori non rispettano questi principi.

I problemi delle famiglie moderne

Sono legati principalmente al rispetto delle regole e all’assenza di punti di riferimento stabili. Capita spesso che il mancato rispetto delle regole non produca azioni correttive adeguate, con il risultato che i ragazzi possono sviluppare l’idea che possono fare quello che vogliono perché non verranno puniti.

Inoltre, nei confronti dei figli è presente un atteggiamento di protezione estrema: i ragazzi vengono privati di ogni responsabilità perché i genitori cercano di rendere loro la vita facile e di eliminare tutti gli ostacoli. Questo meccanismo, però, non consente lo sviluppo delle abilità e non incentiva l’autonomia, l’impegno per il raggiungimento di risultati importanti, l’inserimento ottimale nella società.

È importante conoscere questi meccanismi perché si tratta di potenziali circoli viziosi che possono determinare problematiche psicologiche e comportamentali più o meno gravi. Ovviamente i genitori sono mossi dalle migliori intenzioni, ma qualsiasi cosa che è estremizzata -quindi anche la protezione o l’aiuto- tende a produrre effetti nocivi.

Quando si presentano dei problemi nel rapporto con i figli o quando, più in generale, non ci si sente in grado di affrontare al meglio il proprio ruolo di genitore, è possibile rivolgersi ad uno psicologo per un intervento di sostegno alla genitorialità.

Dott.ssa Erica Tinelli

3884462095

erica.tinelli@hotmail.it

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Bibliografia

Baumrind D. (1991). The influence of parenting style on adolescent competence and substance use. The Journal Of Early Adolescence, 11(1), 56-95.

Nardone G., Giannotti E., Rocchi R. (2006). Modelli di famiglia. Conoscere e risolvere i problemi tra genitori e figli. Tea, Milano.

UN LEGAME SPECIALE: L’ATTACCAMENTO MADRE-BAMBINO

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Fin dalle prime fasi di vita comincia lo sviluppo affettivo e sociale della persona. Tale sviluppo inizia con la creazione del legame di attaccamento tra il bambino e chi si prende maggiormente cura di lui, solitamente la madre.

Secondo gli studi effettuati da John Bowlby e da Mary Ainsworth, esistono principalmente tre tipi di attaccamento.

L’attaccamento sicuro

Si sviluppa quando la madre risponde con prontezza ai bisogni del bambino, ma al tempo stesso gli consente di esplorare l’ambiente quando mostra questo desiderio. Quando si sviluppa questo tipo di attaccamento i bambini si mostrano capaci di esplorare l’ambiente, di affrontare l’assenza della madre, di accoglierla calorosamente quando ritorna e, eventualmente, di farsi consolare se hanno mostrato segnali di sconforto.

L’attaccamento ambivalente

Si manifesta quando la madre non risponde sempre ai bisogni di contatto e di supporto del bambino. Ricerca la vicinanza solo in alcuni casi e spesso in maniera incongruente alle necessità del figlio. Ad esempio ricerca la vicinanza quando il bambino non la vuole mentre è più distaccata quando il bambino ha bisogno di lei. I bambini che sviluppano questo tipo di attaccamento sono a disagio quando restano da soli, ma in presenza della madre hanno comportamenti contradditori, come ricercare e rifiutare il contatto allo stesso tempo (si avvicinano e piangono ma non si fanno prendere in braccio).

L’attaccamento evitante

Si presenta quando la madre non è mai stata responsiva nei confronti dei segnali del bambino e ha ignorato sempre i suoi bisogni e le sue richieste di vicinanza. Questi bambini cercano di mostrare una falsa autonomia: sono ansiosi quando c’è la madre, non ne ricercano la vicinanza, non mostrano disagio quando se ne va e quando torna la ignorano.

Sviluppo sociale

Il legame di attaccamento infantile è molto importante perché influenza la formazione della personalità del bambino e la costruzione delle successive relazioni. Ad esempio, la persona che da piccola ha avuto un attaccamento sicuro tende a sviluppare un’immagine di sé come persona degna di amore e un’immagine degli altri come fonti di sostegno, senza necessità di controllarne in continuazione la disponibilità.  Coloro che, invece, hanno avuto un attaccamento ambivalente in genere sono molto sensibili all’abbandono, esprimono le emozioni in modo esagerato e costringono gli altri ad essere sempre presenti e pieni di attenzioni. Infine, chi ha avuto un attaccamento evitante tende a percepirsi come indegno d’amore e pertanto cercherà di non mostrare mai emozioni, di non legarsi agli altri e di essere autonomo perché diffidente.

Ovviamente non sempre esiste una relazione deterministica tra le esperienze infantili e le relazioni sociali adulte. Quest’ultime, infatti, sono influenzate anche da altri rapporti sociali -con altri parenti, con amici, con partner che esercitano un impatto sul modo in cui la persona percepisce se stessa e se stessa in relazione agli altri.

Dott.ssa Erica Tinelli

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erica.tinelli@hotmail.it

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Bibliografia

Attili G. (2001), “Le emozioni e lo sviluppo affettivo”, in A. Fonzi (a cura di), Manuale di psicologia dello sviluppo. Giunti Editore, Firenze.